Bozze sandstorm

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icon14  CAT_IMG Posted on 15/1/2013, 17:20
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I

Un inferno di sabbia cocente: così le era stato descritto il deserto dei See.
E così le appariva dinanzi agli occhi; così lo sentiva sulla pelle.

A una settimana di viaggio il gelo invernale di Basiledra era niente di più che un lontano ricordo, fugato con forza dall'intensa caluria che le ottenebrava i sensi. Distese desolate, aride e senza vita, ammantavano il paesaggio a perdita d'occhio, al punto che più di una volta Veronica si ritrovò ad interrogarsi sulla strada intrapresa appena pochi minuti prima. Forse era lei a non esser avvezza a quel genere di panorama, ma non riusciva a cogliere alcun punto di riferimento neppure fra le guglie rocciose che di tanto in tanto si innalzavano dal terreno. Trovare qualcuno, o anche solo qualcosa, in quel posto era probabilmente un'impresa impossibile. Un genere d'incarico che i Corvi avevano tuttavia ritenuto adeguato per lei e il suo compagno, ora paladini del Sovrano alla ricerca di un fedele e prezioso suddito che pareva esser stato improvvisamente inghiottito da quello stesso inferno.
Raymond Lancaster.

Lo stallone incespicò all'improvviso, e per poco Veronica non rischiò di cadere; reagì in ritardo, tirando le redini appena in tempo per evitare un capitombolo potenzialmente fatale. Era da parecchio che non trovavano un'oasi, e il destriero ne risentiva a quelle temperature assolutamente non congeniali; se cadeva era probabile che non si sarebbe facilmente rialzato, e a dire il vero lo stesso valeva per lei. L'armatura che indossava era diventata a dir poco incandescente. L'acciaio baciava con ardente prepotenza la pelle sottostante, bruciandola al limite dell'ustione. Non era certamente saggio intraprendere una spedizione nel deserto bardati di tutto punto, e soltanto un idiota si sarebbe ostinato a procedere in simili condizioni; ma la verità era che quella sensazione le piaceva. Qualunque cosa che scacciasse la terribile apatia, gelida e strisciante, che troppo spesso soffocava il suo spirito, era la benvenuta. Finché avesse sentito la carne bruciare, se non altro, sarebbe stata certa d'esser ancor viva. Sollevò soltanto la visiera concedendosi un poco più d'aria, consapevole di stare tirando troppo la cinghia.

« Dimmi un po', Neshnak... »
iniziò con voce resa roca da una sete a lungo non soddisfatta
« ...pensi davvero che il Lancaster sia ancora vivo? »

Si costrinse a riprender posizione retta sulla sella, nel tentativo di scacciare il pericoloso torpore che iniziava ad annebbiarle la vista. L'occhio cadde sulla borraccia appesa al fianco del cavallo, e si chiese se vi fosse ancora dell'acqua all'interno. Non ricordava più quando l'avesse ricontrollata l'ultima volta, e non teneva particolarmente a sapere subito la risposta a quella domanda.

« Sinceramente non lo so. Abbiamo girato parecchio, ma con scarsi risultati... »
mentre ascoltava la risposta, Veronica fece scivolare le dita sopra il tappo sfiorandolo appena
« E poi da quant'è che non si fa vedere nella Capitale? Parecchio mi pare. Anche se fosse vivo, probabilmente non sarà più lo stesso. Vivere in questo deserto... Ti cambia. »

Vivere in qualsiasi inferno ti cambia, si ritrovò a pensare.
Resistette alla tentazione e riportò le mani sulle redini, che poi strattonò appena per portarsi al fianco del massiccio guerriero. Lo osservò inclinando il capo verso l'alto, misura necessaria vista la stazza anormale che lo caratterizzava.

« Hai ragione. E sai una cosa? Ammetto che trovo l'idea di riportare ai Corvi un'altra persona... »
sorrise, inclinando leggermente gli occhi
« ...alquanto divertente. »

Non conosceva di persona il Lancaster, ma sapeva abbastanza di lui per capire che i Corvi ci tenevano particolarmente a rivederlo sano e salvo; del resto non si spediscono cavalieri in una ricerca disperata tra dune di sabbia e caldo asfissiante per dei signor nessuno. Chissà se però sarebbero rimasti della stessa idea, nel ritrovarsi dinanzi una persona diversa. Ma purtroppo, la fantasia evocatole dal compagno - lo sapeva, era destinata a rimaner tale; lei non credeva che fosse ancora vivo. Troppi mesi erano trascorsi senza sue notizie, e da quel che vedeva il deserto dei See non era un luogo ospitale. Per quel che ne sapevano, Raymond poteva trovarsi seppellito sotto qualche duna, magari proprio quella che gli zoccoli del suo stallone stavano calpestando. Ucciso dai banditi, assalito dagli orchi, divorato da qualche bestia che dimorava nel ventre di quelle terre, sfiancato dal clima mortale; poteva immaginare fin troppe amare conclusioni a quella vicenda per convincersi del contrario.

« Tuttavia io penso che sia semplicemente morto. »

Terminò lapidaria, riportando gli occhi all'orizzonte. E proprio lì, fra i riverberi brillanti del sole, credette di intravedere qualcosa.

« In quel caso pace all'anima sua. »

Strinse le palpebre, sforzandosi di acuire la vista per quello che poteva fare in quelle condizioni.
Qualcosa prese forma sopra la sabbia.

« Un'anima non può trovar pace all'Inferno, Neshnak. »

Ombre in avvicinamento.

SEPARATOREVERONICA1-1
Deserto dei See
— Campo Pelleverde —



Osservava attraverso le fessure dell'elmo le capanne costruite alla bene e meglio che le sfrecciavano ai lati, mentre i troll facevano strada nell'accampamento; ogni tanto qualche orco particolarmente pittoresco le strappava un'occhiata distratta, ma per lo più era l'indifferenza a dominarla. E non solo lei, a quanto pareva. Nessuno degli individui che la incrociarono si soffermò troppo a squadrarla; sembrava quasi che per loro fosse normale avere dei visitatori del genere calpestare la loro terra. In quello non li trovò molto dissimili dai Jarwhack con i quali aveva convissuto per diversi mesi, in un passato non troppo remoto.

Quando poche ore prima aveva intravisto quelle figure in avvicinamento aveva subito pensato a dei briganti, e invece non solo si erano rivelati orchi non ostili, ma addirittura li avevano invitati a raggiungere il loro campo, mettendoli in guardia su alcune violente tempeste in arrivo. Una strana gentilezza. E dovette ricredersi anche sulla sorte del pupillo dei Corvi, poiché per quanto indubbiamente diverso da come se lo era immaginato, l'uomo dal quale furono scortati corrispondeva grosso modo alla descrizione che le avevano fatto del Lancaster. Si tolse subito l'elmo, sorridendo un po' incredula alla manifestazione concreta di quanto fino a poco prima erano nient'altro che congetture. Vestiti logori, protezioni leggere, spada sprovvista di guaina... e una macchia verde in faccia: Veronica non poté evitare di lanciare un'occhiata piuttosto eloquente a Neshnak, mentre venivano condotti in un posto più appartato. Era sorprendente come talvolta le sembrasse che il mondo decidesse di riplasmarsi per compiacere le sue fantasie perverse.

« Sono spiacente che abbiate dovuto compiere un viaggio così lungo senza che nessuno ora possa accogliervi come meritereste. »
esordì il Lancaster, invitandoli ad accomodarsi su semplici sacchi di farina
« Come avrete potuto intuire, il Sovrano mi ha condotto lungo un sentiero... insolito. »

Probabilmente lei stessa non avrebbe potuto trovare parole più adatte per descrivere la situazione; sembrava quasi esser diventato uno dei Pelleverde, qualcosa di assolutamente inatteso, e dunque anche molto, molto interessante.
Era ansiosa di comprendere in fretta la genesi di quel cambiamento.

« Oh, non c'è nessun problema. Non ci aspettavamo nessuna accoglienza, ser. »
rispose pacata senza attardarsi troppo nel accogliere la proposta
« A dire il vero, cominciavamo anche a perder le speranze di trovarvi. »

Morto e seppelito nella sabbia, così se lo era immaginato.
Per fortuna che non tutte le sue fantasie diventavano poi realtà; in questo caso ne sarebbe stata estremamente contrariata.
Si ricordò peraltro di non essersi ancora presentata, e si affrettò dunque a colmare quella scortese mancanza.

« Può chiamarmi Veronica. »
disse avvicinando la mano al petto, aspettando che anche l'altro viaggiatore si presentasse prima di riaprir bocca
« Come potete facilmente immaginare, a Basiledra vi sono persone piuttosto... »
sorrise appena, divertita dal pensiero
« ...preoccupate per la sua salute, ser. Non riceviamo vostre notizie da mesi. »

Cercò nel frattempo di darsi una sistemata ai capelli appiccicati alla fronte e alle guance; le vecchie abitudini faticavano a morire, e il galateo le imponeva di rendersi almeno un poco presentabile dinanzi a un interlocutore di una certa caratura. Raymond aveva anche il suo fascino, non lo si poteva negare; la pelle resa dura dal sole, le cicatrici, i capelli sfatti, gli davano quell'aria di uomo vissuto che da sempre era capace di ravvivare un certo interesse in lei.

« Lasciatevi dire che siete una coppia di messaggeri ben strana. Non riesco a capire se i Corvi si augurino che io torni sano e salvo... »
la guardò per un istante - poi riserbò le sue attenzioni a Neshnak
« ...o si augurino che io rimanga qui per sempre. »

« Oh no, non avrebbero spedito noi a cercarvi, se fosse così. »

Si affrettò a rassicurarlo sul punto, mentre lui ordinava ai due troll di portar qualcosa per saziare gli appetiti e placare la sete; Veronica fu ben lieta di poter nuovamente buttare giù un po' d'acqua fresca, e non si preoccupò di nasconderlo troppo. Il viaggio era stato sfiancante, anche se per fortuna non inutile, ma pareva esser stato ben poca cosa rispetto a quello che doveva aver patito Raymond, stando a quello che iniziò a spiegare. Così, mentre consumava il frugale pasto, la Vatrich venne rapidamente ragguagliata su tutto ciò era successo nei mesi scorsi, dai presunti piani di Lord Vaash ai danni dei Corvi, alla cattura dell'ostaggio e all'aiuto offerto dai Pelleverde alla causa.
Una trama di eventi nella quale di certo non poteva immaginarsi di finir intrappolata.
L'ennesima, ben gradita, sorpresa - anche se sarebbero stati in pochi a pensarla allo stesso modo.

« Un paio di uomini fidati potrebbero tornarmi comodi. E se i Corvi hanno riposto in voi la loro fiducia, non ho motivo di diffidarvi. Aiutateci ad infiltrarci nella corte di Lord Vaash e quando torneremo a Basiledra vi prometto che lo faremo da eroi. »

« Può contare su di me, ser. Il nostro compito era quello di ritrovarvi e riportavi a Basiledra, dunque non vi è ragione per noi d'esitare nel prestarvi aiuto e fare il possibile per la causa. »

Anche l'impossibile, forse, perché no; dopotutto si trattava del primo incarico di una certa importanza che le venisse assegnato da quando era giunta al Toryu, ed era una buona occasione per cominciare a piantar radici, farsi notare. Si salutarono sbrigativamente, e dopo la promessa di un prossimo e più preciso briefing del piano d'azione, si congedarono.
_ __ _____________________________________ __ _

I primi giorni all'accampamento furono piuttosto fastidiosi per Veronica.
Camminando fra i tendaggi affollati da orchi sempre più irrequieti, la coglieva spesso una nostalgia dolceamara di tempi ormai lontani; qualcosa che solamente frammenti di memoria intrisi di forti emozioni riuscivano a risvegliare in lei. Anche se in realtà era tutto molto diverso lì, a partire dalle attenzioni particolari che le venivano rivolte sino a giungere al clima sociale mortalmente differente da quello presente nelle tribù Jarwhack, non poteva fare a meno di ripensare - oggi come allora - a quanto sempre di meno si sentiva parte del mondo degli uomini. La sua affinità alla battaglia e agli spargimenti di sangue, il desiderio di spingere il corpo e lo spirito al limite ogni volta che il fato gliene concedeva la possibilità, l'affannosa ricerca di qualcosa che anche solo per un istante potesse liberarla dalla gabbia d'inedia che la imprigionava in un realtà odiosamente perfetta - quella fatta di comodi giacigli e di pasti caldi tutti i giorni -, erano solamente degli esempi di una filosofia aliena tra la sua gente e certamente più affine a quelle creature che in molti chiamavano bestie.

E lei lo era, una bestia.
Brava a celarsi e a ingannare, senza dubbio, ma che prima o poi decideva di disfarsi di trucchi e menzogne per trovare il proprio naturale sfogo nell'unico modo che conosceva. Eppure, nonostante tutto, era consapevole di non aver posto neanche fra i Pelleverde, così come non lo aveva trovato fra i ben più brutali Jarwhack. Perché a differenza loro, a lei non bastava sapere e accettare com'era fatta. A lei serviva anche un perché.
Una malattia fin troppo umana questa, che si sforzava di lenire come poteva.

Provò a disfarsi di quei fastidiosi pensieri nei giorni successivi, dedicandosi a qualcosa che amava fare: studiare le persone. Comportamenti, modi di porsi, indizi che potessero aiutarla a tracciare a grandi linee le immagini che affollavano i pensieri di chi la circondava. Ma non solo, anche comprendere la cultura e le tradizioni di un popolo potevano aiutare. Così fece in modo di avvicinarsi a quei pochi individui capaci di scrivere, scoprì il loro bizzarro timore di perder per sempre le parole che vergavano sulle pergamene, e senza particolari difficoltà, cominciò anche ad apprendere un po' della loro lingua. Proseguì per questa strada fintanto che gli orchi diventarono meno socievoli, a causa delle imminente maree che sembravano innervosirli parecchio; dopodiché la Vatrich preferì desistere e ritornare a concentrarsi su quanto l'aspettava nel futuro prossimo: una tempesta nella quale si sarebbe gettata con gioia, e dalla quale sarebbe uscita rinvigorita - come solito - o non sarebbe affatto uscita.

VERONICATAG3v2
VERONICA VATRICH | CS: Potenza Fisica (4)
| B:5% - M:10% - A:20% - C:40%


Stato Fisico ~ ♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥
                         ♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥ [Perfetto]
Stato Mentale ~ ♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥ [Perfetto]
Mana Residuo ~ 100%


ABILITA' PASSIVE
CRIMSON MADNESS [Passiva di II e III Livello del Dominio Forza del Toro]
    Resistenza al dolore, sopportazione danni fino a un doppio Mortale.
SYSTEMATIC CHAOS [Passiva Razziale del Mezzodemone]
    Difesa psionica.
SOUL CRACK [Passiva Personale]
    Malia psionica che stimola reazioni, sensazioni ed emozioni primitive.
PAINFUL CARESS [Passiva di I Livello del Dominio Forza del Toro]
    Capacità di maneggiare armi pesanti come stocchi leggeri.


EQUIPAGGIAMENTO
VERMILLION [Integro - Attualmente non equipaggiato]
    Gigantesco martello da guerra a due mani.
NYAR'KHATAP [Integro - Infoderato dietro la cinta]
    Pugnale rituale.
REKSESJATER [Integra - Appesa al fianco sinistro]
    Mazza ferrata.
CORONA D'ARGENTO [Integro - Dietro la schiena]
    Scudo medio/grande.
PEANA TRIONFALE [Integra - Equipaggiata]
    Armatura media completa.



PASSIVE (Integrale)
CITAZIONE
CRIMSON MADNESS.
Chiunque si dovesse trovare a combattere al fianco della donna, non potrà fare a meno di notare che nel suo modo di duellare vi sia qualcosa di decisamente sbagliato. Anche se flagellata da ferite tremende, non una sola ombra di dolore si farà mai strada sul suo viso. Non è raro infatti che anziché gemere di dolore, Veronica lo faccia di piacere quando una lama d'acciaio le penetra le carni. Un malato desiderio di sangue - più genericamente innescato da qualunque cosa ne condivida il colore - che le impedisce di crollare, di incassare fino al doppio di quanto un normale mortale potrebbe sopportare, fintanto che non colpita fatalmente o sfiancata del tutto dalle emorragie e dalla stanchezza. Si tratta di una perversione alla quale la donna non è in grado di sottrarsi, e alla quale deve necessariamente dar soddisfazione. Per questo, anche quando il nemico è restio a combattere, Veronica è in grado di attirare tutte le sue attenzioni su di lei - spendendo un quantitativo Medio di energie. Sia che la provocazione avvenga per mezzo di parole sprezzanti o gesti inconsulti, essa colpirà l'avversario come un vero e proprio attacco psionico (dal quale ci si può proteggere con le adeguate difese) in grado di innescare nel bersaglio una rabbia che avrà fine solamente dopo due turni di combattimento.

SYSTEMATIC CHAOS.
È idea diffusa che più una persona sia mentalmente instabile, e più gli sia difficile nascondere la propria pazzia. Una mancanza di equilibrio comporta una mancanza di controllo. Ma questa non è un'affermazione sempre valida. Nella sua follia, Veronica è sorprendentemente lucida. In grado di mantenere un ferreo autocontrollo in pressoché qualsiasi situazione, nessun tipo di influenza psicologica passiva potrà mai riuscire a penetrare la sua mente, confondendone le capacità di giudizio o alterandone le intenzioni a meno che non sia lei stessa a desiderarlo.

SOUL CRACK.
Non esiste creatura che non covi desideri proibiti, istinti malevoli, perversioni nascoste. Vi sono soltanto persone più capaci di altre a soffocarle nella melma del subconscio, a nasconderle nell'antro più oscuro e remoto della propria anima. Emozioni negative che la sola presenza di Veronica è in grado di far riemergere progressivamente. Quasi come fosse un magnete per questo genere di pulsioni, chi la circonda si vedrà progressivamente vittima di una perdita di controllo sulla propria parte primitiva; pensieri, sensazioni, sogni, istinti, tutto ciò che fino a quel momento era tenuto serrato nel cuore degli astanti si vedrà libero e in grado di esercitare la sua influenza al pieno della sua intensità. Essendo un potere in grado di risvegliare più che indurre, i suoi effetti possono variare da individuo a individuo e generalmente sono più celeri nel sopraggiungere, seppur meno destabilizzanti per ovvi motivi, su personaggi di allineamento negativo (potrebbe manifestarsi come un'invidia e una gelosia crescente, una rabbia insensata, paranoia, desideri sessuali, ecc). Anche l'oggetto di tali desideri può variare a seconda delle circostanze e dei personaggi coinvolti. Le conseguenze di questo potere - essendo puramente interpretativo - sono comunque rimesse all'avversario, che potrà ignorare del tutto gli effetti della malia nel caso sia dotato di difese psioniche passive. Tutt'altra storia nel caso Veronica desideri marchiare permanentemente la mente del bersaglio con tali sensazioni, potenziando la malia con un consumo energetico Variabile; in tal caso, essendo una vera e propria offensiva psionica, i danni riportati resteranno per tutta la durata dello scontro sotto forma di perdità di lucidità proporzionale all'entità dell'influenza, benché le emozioni scatenanti restino sempre a discrezione dell'avversario.

PAINFUL CARESS.
Posando i propri occhi sulle mani e sulle dita della ragazza, apparentemente più adatte a elargire carezze che sberle, non si potrebbe mai pensare che siano in realtà in grado di brandire armi spropositate e sferrare colpi micidiali. E invece, a dispetto delle apparenze, Veronica si trova perfettamente a suo agio nell'agitare il suo martello da guerra in mezzo alla mischia, proprio come se non avesse alcun peso; una capacità innata che si applica anche a qualsiasi altra tipologia di arma simile si dovesse trovare stretta nel suo pugno. E se per caso la forza di cui dispone non si dovesse rivelare sufficiente, Veronica sarà in grado di incrementare ulteriormente la propria potenza muscolare per la durata di un solo turno. In termini di gioco, è in grado di guadagnare 4 CS bonus a Potenza Fisica con consumo Medio, 8 CS con uno Alto, o in alternativa ben 16 CS con uno Critico.

EQUIPAGGIAMENTO (Integrale)
CITAZIONE
VERMILLION
Fedele compagno di mattanza, questo rozzo martello da guerra in acciaio scuro accompagna Veronica ormai da molto tempo. È stato forgiato da qualche parte nel Nord, brandito dal capo di una feroce tribù Jarwhack di cannibali rasa al suolo in una delle tante campagne, e infine razziato dal suo cadavere dalla donna stessa. Pesante, resistente e in grado di spezzare corazze e armature come fossero di cristallo, ha frantumato abbastanza ossa da far paura ai più ferali degli Screamers del Nord. Nessun comune essere umano è anche solo in grado di sollevarlo, nei suoi due metri e mezzo di lunghezza, ma nelle mani di Veronica pare essere leggero come una piuma. La testa del martello è grande all'incirca quanto un torso umano.

NYAR'KHATAP
Pugnale rituale utilizzato durante i sacrifici umani, la lama ricurva e scintillante sembra fatta apposta per cavare cuori ancora pulsanti. Con circa venti centimetri di acciaio tagliente e affilato, e altri dieci di manico color ebano, questo coltello non si rivela un'arma ottimale da impiegare in battaglia tuttavia in caso di necessità è in grado di fare il suo dovere. Vi sono delle incisioni sul filo argentato, somiglianti a grovigli caotici dal dubbio significato, mentre sul fronte del piccolo pomello in oro si trova una raffigurazione di una rosa avvolta dalle fiamme. Nella lingua Jarwhack, il nome di quest'arma significa "Zanna di Diavolo".

REKSESJATER
La traduzione letterale del nome di quest'arma è "scuoiatore", un appellativo apparentemente strano da dare a una mazza ferrata di ottantadue centimetri, ma che in realtà rispecchia alla perfezione la sua natura. Nel processo di forgiatura difatti è stata posta particolarmente cura nella lavorazione di numerose lame e punte metalliche nella parte superiore all'impugnatura, realizzate in maniera tale che una volta colpito il nemico e ritratta l'arma, buona parte della carne sottostante venisse strappata aggravando ulteriormente le ferite inflitte. Inoltre le scanalature incise sulle aguzze sporgenze della mazza - una volta penetrate in profondità nelle difese nemiche - facilitano la fuoriuscita di sangue. Quest'arma venne offerta a Veronica in dono dopo la sua iniziazione nella Rosa.

PEANA TRIONFALE
Originariamente si trattava di un'armatura ornamentale passata di generazione in generazione fra le mani delle comandanti della Guardia d'Argento; forgiata in acciaio e rivestita di una sottile patina d'argento finemente istoriato, non è mai risultata particolarmente utile in guerra per la sua nuova padrona, che l'ha sempre considerata più un pezzo da collezione da sfoggiare in occasioni speciali. Così, quando nel corso di una feroce battaglia campale la corazza andò quasi del tutto in frantumi, Veronica decise di raccoglierne i pezzi per riforgiare dagli scarti una nuova veste protettiva, più adatta al suo scopo. Il set comprende due spallacci lavorati nei quali sono scolpite croci d'argento a braccia eguali; bracciali inferiori conici con manopola rivestita internamente in cuoio; un paio di schinieri dotati di cosciale - che garantiscono la copertura di circa tre quarti di gamba; piastra pettorale e posteriore con l'effige del casato intarsiata all'altezza dello sterno; gorgiera sporgente fino al mento, e un elmo decorativo rinforzato adatto a reggere urti pesanti dalla forma simile a una testa di toro. Le corna - rivolte in avanti - e la visiera composta da diverse piccole sbarre metalliche verticali, sono gli unici due pezzi a presentare un colore scuro. Essendo l'armatura di per sé già piuttosto pesante, per evitare di intralciare ulteriormente i movimenti sono state lasciate scoperte alcune zone, quali ventre-zona bassa della schiena, bacino e la parte superiore delle braccia; inoltre in prossimità delle giunture l'armatura è sostituita da fasce di pelle e reticolati di maglia, per garantire la libertà delle articolazioni.

CORONA D'ARGENTO
Pezzo d'equipaggiamento originariamente abbinato all'armatura e alla spada che ogni comandante della Guardia d'Argento era solita ricevere al momento dell'incoronazione, si tratta al momento anche dell'unico che Veronica non ha gettato o modificato in qualche modo. Difficile dire se sia per una qualche questione affettiva, per quanto distorta possa essere, o se sia invece l'indubbia l'efficacia dello scudo nel smorzare i colpi nemici. Abbastanza grande da coprire tre quarti di braccio, ma non abbastanza da costituire un grosso intralcio nella mischia, l'oggetto presenta un'ampia superficie smaltata d'argento e un'anima in acciaio puro.

ESTASI PURPUREA
Si tratta di un composto allucinogeno realizzato con estratti d'erbe provenienti dal lontano oriente che viene ampiamente utilizzato dalla sua padrona. Contenuto in una boccetta di vetro dotata di tappo, è principalmente usato come droga ed eccitante - l'effetto che se ne ottiene inalandone brevemente i fumi - ma se gettato a terra e liberato tutto in una volta, i suoi effetti stordenti sui malcapitati che lo respirano saranno tali da riuscire a confondere i loro sensi per la durata di due turni. Le esalazioni della mistura sono facilmente riconoscibili una volta che è dispersa nell'etere, per via del suo acceso colorito porpora.



NOTE
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Edited by ~Fatal_Tragedy~ - 16/1/2013, 17:29
 
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CAT_IMG Posted on 15/1/2013, 19:08

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Alzò lo sguardo portandolo verso l'orizzonte, osservando dall'interno dell'elmo quel luogo orribile, quell'Inferno che pareva ripudiare la vita, abbandonato dagli Dei stessi. Si guardò intorno, osservando le dune che circondavano lei e la sua compagna mentre un velato sconforto lo assaliva.

Sabbia, sabbia, sabbia.
Non v'era nient'altro che sabbia, in quel dannato Deserto dei See.



Senza tanti fronzoli era stata convocato da un Corvo insieme ad una donna, una certa Veronica, il quale diede ai due una missione da portare al termine il prima possibile. Nëshnäk si trovava da poco nella Capitale, non conosceva ancora i nomi degli individui più importanti della città, dunque non sapeva di preciso quanto fosse oneroso quell'incarico, ma non faceva nulla - ogni lavoro, dal più umile al più nobile andava eseguito con la stessa serietà e dedizione. Per questo ora viaggiavano dal un bel po' di tempo oramai, circa una settimana, girovagando in lungo e in largo in quella distesa infinita, alla ricerca del prezioso suddito del Sovrano: Raymond Lancaster.
Faceva caldo, troppo, eppure i due non si lamentavano o mostravano infelici l'un l'altro. Forse per orgoglio, forse perché la soglia della sopportazione non era stata ancora sfiorata. Eppure continuavano a viaggiare dì dopo dì senza mostrare segni di cedimento. Quel calore ustionante, acuito dall'acciaio delle armature complete che portavano addosso, anche se graffiava la loro pelle non avrebbe impedito il corretto svolgimento della missione. Il fallimento del resto non era nemmeno contemplato nella mente dell'orco, che avrebbe preferito vagare all'infinito per quel deserto piuttosto che deludere il Clan Toryu, quello che gli aveva permesso di ricrearsi una vita.

Aveva molta sete, non beveva da un pezzo e la borraccia d'acqua era già stata svuotata del tutto. Questa non era la prima volta in cui s'avventurava in quella distesa arida, dunque aveva sviluppato una cerca abilità nel gestire le scorte di primaria importanza, ma ciò non era bastato. L'ultima oasi visitata dalla strana coppia di cavalieri oramai era solo che un ricordo appannato, una sorta di visione onirica. Digrignò i denti, facendoli stridere fra loro, producendo un suono alquanto irritante: da quando si era messo in viaggio né lui che il suo cavallo si sentivano a proprio agio, qualcosa pareva non andare per il verso giusto. Più il tempo passava e più sentiva una sorta di sinistra frenesia, che nei momenti in cui gli pareva di avvistare qualcuno - spesso a causa di miraggi - esplodeva in scatti rapidi di rabbia. Ciò lo preoccupava, ma non più di tanto, quindi evitò di pensarci più il dovuto, preferendo di ignorare la cosa. Sicuramente era la temperatura elevata che riscaldava il suo spirito, già bollente di suo.

E niente. Non accadeva niente. Erano sette giorni che vedeva solo sabbia, di tanto in tanto qualche disperato, ma niente di speciale. Quella situazione lo snervava oltremodo, facendogli perdere la concentrazione, tanto che nemmeno si rese conto del movimento repentino di Veronica, la quale diede uno strattone alle redini per evitare una caduta rovinosa in quel suolo che poteva cuocerla viva.

« Dimmi un po', Neshnak... »
la mente dell'orco era priva di ogni pensiero, eppure a causa di quel caos calmo nemmeno si accorse delle prime parole della donna, anche lei assetata, come testimoniava la voce rauca.
« ...pensi davvero che il Lancaster sia ancora vivo? »



Gran bella domanda, si ritrovò a pensare. Le possibilità che fosse vivo erano scarse, se non nulle, e nel suo cuor di pietra si ritrovò a sperare nel miracolo. Se da una parte lo voleva per servire il Clan Toryu nel miglior modo possibile, portando al Sovrano persone di cui necessitava, dall'altra lo desiderava perché così, almeno in teoria, il compito sarebbe risultato più breve. Accertarsi della morte di un individuo qualsiasi - come l'esperienza gli aveva insegnato - risultava assai complesso.

« Sinceramente non lo so. Abbiamo girato parecchio, ma con scarsi risultati... »
incominciò a sputacchiare qualche parola, anche lui con la lingua impastata
« E poi da quant'è che non si fa vedere nella Capitale? Parecchio mi pare. Anche se fosse vivo, probabilmente non sarà più lo stesso. Vivere in questo deserto... Ti cambia. »



Concluse alla bene e meglio, calando lo sguardo sul polso sinistro, dove teneva un bracciale sul quale era stato posto un piccolo cannoncino. Gli era costato un bel po' quel gioiellino, ma alla fine il fabbro che lo guardava con così tanto disprezzo e timore reverenziale aveva fatto un ottimo lavoro. Ancora non l'aveva utilizzato, ma non vedeva l'ora di farlo. Portò le dita sui vari ingranaggi, stando bene accorto a non dare strattoni alla cordicella che come gli avevan detto faceva partire il colpo, incominciando a seguire sbadatamente i lineamenti di quel pezzo di ferro con l'indice. La donna poi riprese a parlare, stavolta avvicinandosi con il cavallo verso di lui, guardandolo. Anche lui ricambiò lo sguardo, perdendosi con le proprie iridi rosse in quelle eterocromatiche di Veronica, quella donna intrigante che non aveva dimostrato ribrezzo nei suoi confronti, quella creatura sconosciuta pure per gli orchi, neppure la prima volta che l'aveva visto di fronte al Corvo.

« Hai ragione. E sai una cosa? Ammetto che trovo l'idea di riportare ai Corvi un'altra persona... »
mentre stava pronunciando quelle parole sentì un qualcosa di sbagliato, fuori posto, eppure non fece trasparire nulla, nemmeno un'emozione che tradisse il pensiero il quale lentamente s'andava formando nella sua mente.
« ...alquanto divertente. »



Voltò il capo, ritornando a fissare davanti a se. Lo trovava divertente, ma non riuscì a cogliere il perché, ma infondo uno dei suoi motti era "Non comprendere, non capire, non appoggiare: ubbidire e basta". Dunque certi concetti sottintesi, oppure le classiche trame di corte fitte ed intricate come dei rovi di Biancospino selvatici, proprio non volevano entrargli in testa. Oltretutto era un tipo che amava farsi gli affari suoi, certo se qualcuno gli rivolgeva la parola rispondeva, ma raramente si sarebbe impicciato di cose che non lo riguardavano. Questo era uno di quei casi.

« Tuttavia io penso che sia semplicemente morto. »
il modo in cui tali parole vennero pronunciate fece divertire non poco Nëshnäk, già provato dalle strane sensazioni che laceravano la sua anima, che senza troppi problemi diede una risposta ugualmente lapidaria.
« In quel caso pace all'anima sua. »



Un modo di parlare simile non era degno della figura di Cavaliere, ma lui non apparteneva a quell'ordine. Forse poteva essere confuso a causa dell'armatura, della dedizione per la battaglia o per l'assoluta fedeltà nei confronti di Basiledra, ma in cuor suo rimaneva pur sempre un mercenario. Certe cose del resto non si potevano cancellare. Una volta che si viene marchiati da qualcosa, da esperienze che toccano nel profondo, queste ci segnano a vita, indirizzando quasi involontariamente determinate scelte. Non c'era spazio per il libero arbitrio.

« Un'anima non può trovar pace all'Inferno, Neshnak. »



Questa era una verità del mondo, ma ce n'era anche un'altra: nulla è impossibile. Forse poteva dare un'altra risposta, ma non lo fece, optò piuttosto per rimanere in silenzio, risparmiando il fiato. Il tutto mentre continuava ad osservare dinnanzi a se, in quelle montagne di sabbia su cui troneggiava il Sole, il quale con la propria lucentezza mise in risalto delle figure. Aguzzò la vista, parandosi gli occhi dai raggi del disco di fuoco, definendo meglio quelle figure. No, non erano di certo miraggi.

Qualcuno si stava avvicinando.
Senza che nemmeno se ne accorgesse la mano scivolò sull'impugnatura di quel grande spadone innominato, la cui lama - se quelle ombre appartenevano ad individui ostili a loro - avrebbe baciato molto sangue da lì a poco.


___ _____ ________ _____ ___
Campo dei Pelleverde



La Meretrice di Visceri rimase al suo posto, dentro il fodero composto da una fitta rete di catene, che rendevano ancor più difficoltoso trasportare quel blocco di ferro già pesante di suo. L'istinto bestiale di caricare a testa bassa quelle ombre che s'avvicinavano era forte, ampliato da un qualcosa di primordiale e sconosciuto di cui nemmeno si rese conto, eppure dovette calmarsi; non era più solo, non era un animale privo di legami - adesso era subordinato al Sovrano, doveva evitare gesta che avrebbero potuto compromettere la sua già vacillante reputazione. Quindi, rimanendo bene accorto, pronto a scattare da un momento all'altro, rimase a fissare quegli individui che si avvicinavano. Ringhiò sommessamente quando distinse i loro tratti orcheschi, sicuro che avrebbe dovuto affrontare quella minaccia con la forza, insieme alla cavallerizza che stava al suo fianco. Ma ciò non accadde. Con immenso stupore gli appartenenti a quella razza belligerante non avevano cattive intenzioni, anzi, volevano preservarli da una minaccia che rispondeva al nome di Marea. La mano pronta a scivolare sull'impugnatura di colpo si rilassò, allo stesso modo dell'animo irrequieto di Nëshnäk: dovevano trovare il Lancaster, quella era un'opportunità imperdibile, una grande fortuna.
Ironia della sorte, quella fortuna sfacciata non si sarebbe fermata lì. Dopo essere stati portati al campo dei Pelleverde - in cui molti li ignorarono, come se fosse una cosa normale o ripetuta cento e più volte, quella di avere estranei a casa - vennero condotti da un uomo, quello che probabilmente gestiva l'insediamento. Sgranò gli occhi quando vide la sua figura, provando a nascondere la sorpresa il più possibile, difficile già di suo da notare per via dell'armatura completa e dell'elmo che gli copriva il volto, celando i lineamenti. La Montagna squadrò da capo a piedi quella persona scortata da una coppia di troll nerboruti, la quale indossava degli abiti da beduino laceri e sotto di essa - come si poteva ben notare nei punti strappati - un'armatura di cuoio scura come la pece. Il suo aspetto pareva quello di un uomo provato: la pelle imbrunita a causa del Sole, in un modo che era raro anche per i contadini del Nord, la barba incolta, le cicatrici che testimoniavano un passato fatto di scontri.. Ma soprattutto una macchia verde sul viso. Diede un'occhiata a Veronica abbastanza eloquente. Un uomo che non poteva essere il nobile Raymond Lancaster, e invece...

« Sono spiacente che abbiate dovuto compiere un viaggio così lungo senza che nessuno ora possa accogliervi come meritereste. »
incominciò a dire il presunto nobile dopo averli scortati in una tenda, la quale come si poteva facilmente intuire dalle merci ivi riposte veniva utilizzata come magazzino. Li invitò ad accomodarsi sopra a quei sacchi, ma egli rifiutò a differenza della signora, era stato fin troppo seduto sopra lo Shire.
« Come avrete potuto intuire, il Sovrano mi ha condotto lungo un sentiero... insolito. »



Quel lemma, "Insolito", appariva molto riduttivo. Erano pochi i signori che chiedevano ad un servitore di condurre uno stile di vita simile, soprattutto ad uno di origini rispettabili. Una fiducia ed un rispetto invidiabile quelli del Lancaster, ma non ci pensò più del dovuto, non era quello il suo lavoro. Magari poteva dire qualcosa, in modo da indurre il suddetto a fidarsi di loro, del resto però non era bravo a parlare, quindi preferì rimanere in un silenzio tombale. Talune volte una o due parole erano meglio di cento.

« Oh, non c'è nessun problema. Non ci aspettavamo nessuna accoglienza, ser. A dire il vero, cominciavamo anche a perder le speranze di trovarvi. »
rispose ella, la quale con tutta probabilità aveva capito sin da subito che doveva essere lei a discutere con il Ser
« Può chiamarmi Veronica. »
concluse, facendo una breve pausa subito colmata dalla voce grottesca e gutturale dell'orco.
« Nëshnäk. »



Qualsiasi altra persona con del sale in zucca e un minimo di buone maniere avrebbe utilizzato un tono più formale, accondiscendente ed elegante per presentarsi. Peccato che la Montagna non rientrasse per bene in tutti e due i gruppi, quindi - rimanendo fedele alla propria scelta di parlare solo se interpellato - rivelò il nome con un tono che ricordava quello del classico soldato chiamato da un superiore. Quindi senza tanti ripensamenti si tolse l'elmo, mostrandogli finalmente i lineamenti spigolosi del volto: fronte alta e corrugata, occhi grandi e rossi come il sangue che fin troppe volte aveva visto nei campi di battaglia, labbra sottili e secche per il caldo, capelli cortissimi e scuri, le zanne inferiori invece non fuoriuscivano dagli angoli della bocca, a meno che non parlasse. Ed in quell'orchestra di lineamenti non aveva una macchia verde impressa sulla pelle come il Lancaster, ma un tatuaggio dal tema tribale che dalla tempia sinistra scivolava fin sotto il collo.

« Come potete facilmente immaginare, a Basiledra vi sono persone piuttosto... preoccupate per la sua salute, ser. Non riceviamo vostre notizie da mesi. »
la risposta dell'individuo che quasi inconsapevolmente nascondeva le proprie nobili origini sotto le spoglie di un comune barbaro non si fece attendere
« Lasciatevi dire che siete una coppia di messaggeri ben strana. Non riesco a capire se i Corvi si augurino che io torni sano e salvo... o si augurino che io rimanga qui per sempre. »
.. E probabilmente, dopo tale esclamazione un campanellino d'allarme suonò per Veronica.
« Oh no, non avrebbero spedito noi a cercarvi, se fosse così. »



A quell'ultimo accenno non si scompose, nemmeno d'un poco. Era ben conscio delle sensazioni che faceva nascere nella coscienza altrui, quindi in un certo senso c'era abituato, eppure la cosa non lo soddisfaceva affatto. Ma sopportò, convinto del fatto che si sarebbe guadagnato almeno un po' della sua fiducia con le proprie azioni. Nel mentre fece portare degli alimenti, un po' di pane e dell'acqua, ai quali il ragazzone non rifiutò. Aveva patito la fame e la sete nelle dune del Deserto dei See, se ora poteva trovare un minimo di sollievo in quel cibo non si sarebbe fatto perdere l'opportunità. Così incominciò a mangiare con calma, ascoltando tra un boccone e l'altro ciò che Raymond aveva da dirgli.

« Immagino che non vi auguriate di ripartire immediatamente per il nord, dopo un viaggio così lungo, quindi lasciate che vi esponga la situazione. »



Iniziò quindi a parlare di un lord, un tale Razelan Vaash, che si trovava da qualche parte nel Deserto dei See, il quale per qualche motivo ignoto era accinto nel complottare alle spalle dei Corvi. Un vile che andava subito denunciato alla Corte del Sovrano, non prima di aver ottenuto prove certe della trama infima che come un ragno disgustoso stava tessendo all'ombra di tutti. Una minaccia che avrebbe visto la sua fine in uno stagno di sangue. Già pregustava il momento in cui la Meretrice di Visceri avrebbe affettato le carni di quei dannati, portandogli via tutto quello di cui avevano più caro. Desiderio che faceva riaffiorare nella sua mente scene di guerriglia, quelle che per lui erano molto care - involontariamente, pure i polpastrelli della mancina scivolarono dietro di se, toccando quello strumento di morte da poco ottenuto. Raymond continuò spiegando che aveva trovato in quel gruppo di Pelleverde un valido aiuto, un qualcosa di alquanto singolare, soprattutto se a chiedere appoggiò è un comune essere umano e non un valido esponente della loro razza; in ogni caso meglio così, gli orchi erano i migliori soldati in assoluto, truppe in alcuni casi difficili da gestire, ma il tutto veniva ripagato con un'efficacia disarmante. Subito dopo disse loro anche di aver catturato un ostaggio, dalla bocca non troppo larga, che lo aveva costretto a elaborare un nuovo piano.

« Un paio di uomini fidati potrebbero tornarmi comodi. E se i Corvi hanno riposto in voi la loro fiducia, non ho motivo di diffidarvi. »
concluse, catturando l'attenzione della Montagna, che senza pensarci troppo sfoderò lo spadone, facendo impattare la punta dell'arma contro il suolo sabbioso.
« Aiutateci ad infiltrarci nella corte di Lord Vaash e quando torneremo a Basiledra vi prometto che lo faremo da eroi. »
chinò il capo, mostrando rispetto nei suoi confronti, poi indurì la presa sull'impugnatura
« Può contare su di me, ser. Il nostro compito era quello di ritrovarvi e riportavi a Basiledra, dunque non vi è ragione per noi d'esitare nel prestarvi aiuto e fare il possibile per la causa. »
adesso era il suo momento.
« Ti giuro una momentanea e assoluta fedeltà, Raymond, fino a che giustizia venga fatta. »



Solitamente bisognava smielare certi concetti, utilizzare modi di parlare educati e formali, o quantomeno un tono servile e accondiscendente. Cosa che Nëshnäk non fece - non per mancanza di rispetto, ma solo perché nessuno gli aveva insegnato certe cose. Del resto era cresciuto nei campi di battaglia, non fra le mura sicure di qualche città come Basiledra et similia.
Gli diede le spalle e dopo averlo salutato insieme alla compagna uscì dalla tenda, sicuro del fatto che li avrebbe fatti convocare per discutere ancor più approfonditamente della missione.

Passarono diversi giorni in quella umile comunità di Pelleverde, dalle tradizioni antiche ed onorevoli, che rispecchiavano appieno la figura del Guerriero definitivo, perfetto. Eppure non strinse nessun legame, piuttosto rimase molto schivo, evitando di entrare in contatto con altri a meno che non fosse strettamente necessario. Passava il tempo ad allenarsi fra le dune, sotto quel Sole infame. Un atto all'orlo dell'autolesionismo, ma questa era la strada che aveva scelto. La Via della Spada.








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 EQUIPAGGIAMENTO

Meretrice di Visceri
Spadone immenso a due mani.
Note: //
Spiedo
Alabarda, anch'essa più grande del normale.
Note: //
Multa Paucis
Piccolo cannoncino, posto nella parte inferiore del bracciale sinistro.
Note: 1xColpo
Memento Mori
Armatura pesante completa.

Note: //
PASSIVE


Si Vir Es
Grande resistenza al dolore.
Note: Passiva di II Livello del Dominio Forza del Toro
Ad Uno Disce Omnes
Possibilità di poter utilizzare armi pesanti come se fossero leggerissime.
Note: Passiva di I Livello del Dominio Forza del Toro
Historia Magistra Vitae
Capacità di combattere in qualsiasi situazione, anche se gravemente ferito.
Note: Passiva razziale degli Orchi, Spirito di Guerra.
 

NESHNAK GRISHNAK
Criticam: 40% Maximum: 20%
Medio: 10% Bassus: 5%

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Corporis: 100%
Mentis: 100%
Vigor: 100%


MERETRICE DI VISCERI
Durante lo scontro con l'Innominato - Medoro - il grande orco subì delle gravi ferite, non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Infatti, la sua grande spadona, quell'arma che utilizzava come se fosse un leggerissimo stocco, venne completamente distrutta, scheggiata in mille e più punti a causa della pioggia di spade richiamata dal Paladino. Provò a difendersi da quest'assalto, ma fu tutto inutile: quei gladi penetrarono l'armatura e la carne, resa ancor più spessa e resistente dalla distruzione di un sigillo che limitava i poteri di Nëshnäk, con una facilità estrema. Tale gesto impressionò il cavaliere, il quale gli permise di entrare nel Clan Toryu, promettendogli che la sua arma sarebbe stata riforgiata. La Meretrice di Visceri, l'attuale arma principale del mercenario, è stata infatti forgiata con il fuoco delle forge di Basiledra, utilizzando i frammenti della Scannabestie. Essa si presenta come una spada grezza, dalla lama - che oltretutto è un pezzo unico con l'impugnatura - lunga due metri e mezzo, larga circa quindici centimetri alla base, e man mano sempre più sottile verso la punta triangolare. L'elsa, saldata alla lama, non presenta particolari temi, piuttosto è decisamente spartana. Intorno all'impugnatura, bella lunga anch'essa per favorire una presa alquanto salda, vi sono delle bende.
SPIEDO
La spada però non è solamente l'unica arma del costrutto, anzi, tutt'altro. Un altro suo oggettino tanto adorato è il caro Spiedo, ovvero un'alabarda adatta alle dimensioni esagerate dell'utilizzatore. Questa in realtà è un'arma un poco particolare, non per le misure, ma per il modo in cui è stata assemblata. Costruita dagli stessi umani che han creato Nëshnäk, lo Spiedo non ha un'asta di legno, come il resto delle altre armi a lungo raggio come questa, bensì d'un ferro grezzo, decorato con strane rune che lo pseudo-orco ha osservato per lunghe ore, senza mai decifrarle, infondo il poveraccio nemmeno sa leggere il proprio nome. Fatto sta che tale strumento di morte l'ha servito a lungo, sia contro i suoi simili che contro gli stessi bastardi che l'han messo alla luce, incluse gli animali della foresta che caccia per vivere. Certo, non è l'essenza della destrezza quando l'usa, ma è capace di adoperarla come una buona scioltezza, anche se prima di riuscirvici diverse volte si è ferito nel farlo. Ma si sa, spesso il dolore è il giusto prezzo da pagare per realizzare ciò che si desidera.
MEMENTO MORI
Però vedete, Nëshnäk non è un barbaro, cioè non del tutto. Lui non ama le armature leggere, come quelle di pelle, tutt'altro. Preferisce sentirsi ricoperto da una dura corazza, capace di resistere agli urti più forti e questa probabilmente è una delle nozioni che gli hanno inculcato in testa quei dannati guerrieri che l'avevan schiavizzato, bardati dalla testa ai piedi con pezzi d'acciaio scintillante. Fatto sta che i suddetti han costruito appositamente per lui un'armatura particolare, ovvero gigantesca, adatta alla sua statura. Essa è un set intero, che ricopre centimetro per centimetro gran parte del suo corpo, eccezion fatta per i fianchi, i lati delle ginocchia, il collo ed infine la parte interna delle braccia. Il tutto per garantire un mix perfetto di mobilità e protezione. E' una copertura rossastra, priva di particolari decorazioni, ma decisamente funzionale. Nëshnäk la porta praticamente sempre con se, eccezion fatta per quelle rare volte in cui particolar preso dalla foga della battaglia preferisce combattere privo di protezione alcuna. Giusto così, per farsi più male.
MULTA PAUCIS
In teoria Nëshnäk preferisce le armi corpo a corpo, solitamente mazze, spade, asce e così via. Eppure dopo aver combattuto contro il biondo Paladino di Basiledra ha capito che non può intestardirsi su certe cose, come per il combattimento. Quel duello infatti è stato illuminante, da questo ha appreso che deve aprire la propria mente a nuovi orizzonti e modi d'affrontare il nemico. Per questo è andato da un fabbro per farsi costruire nel più breve arco di tempo possibile quest'arma: il Multa Paucis, ossia "Molte cose in poche parole", un piccolo cannone posto nel bracciale dell'armatura pesante, per la precisione nella parte interna. Questo meccanismo abbastanza semplice permette di sparare un colpo esplosivo con il piccolo strattone di una cordicella che sbuca da una serie d'ingranaggi.


ABILITA' RAZZIALE: SPIRITO DI GUERRA E II LIVELLO DEL DOMINIO "FORZA DEL TORO"
La Montagna anche se non è un vero e proprio orco, è pur sempre stato costruito con le membra di quest'ultimi, dunque per forza di sangue il sangue di tali creature scorre nelle sue vene con una prepotenza inimmaginabile. E' un sangue sporco vero, di cui pure il potenziale nemico di Nëshnäk si ravvede dallo sporcarvisi, ma in ogni caso è forte. Una forza che trova la quintessenza nell'ostinazione della Montagna, che non gliene importa se è stanca o ferita, poiché rimane lo stesso a combattere. La dedizione alla battaglia, allo scontro, alla violenza, tutto questo è come una sorta di potere razziale, di un dono divino che solo gli orchi - o chi ne possiede il sangue - possono avere. Per tale motivo il guerriero combatte sempre a testa alta, senza arrendersi mai. Se ne frega del dolore, delle ossa rotte, delle contusioni o delle ferite che lacerano i muscoli, rendendoli una putrida poltiglia: egli continua a duellare, a stringere con forza la propria arma. E' il suo essere ancestrale che glielo obbliga, è il suo Spirito di Guerra a farlo. E' come un comando al quale non può resistere, a cui non può non obbedire. Combattere. Sempre e comunque. Non importa dove, non importa in che condizioni. Nëshnäk continuerà sempre a farlo.
I LIVELLO DEL DOMINIO "FORZA DEL TORO"
La Montagna è un essere immondo, una creatura che trova l'affermazione di se stessa solo nella propria forza, su cui infondo ha basato tutta la sua vita artificiale. La sua forza è inaudita, priva di senso alcuno, è semplicemente brutale e diretta. Tale essenza sincera risulta essere anche sinistramente nobile, lontana, a modo suo affascinante. Vederlo combattere, vedere i suoi muscoli che si gonfiano per lo sforzo è uno spettacolo meraviglioso. Per tale motivo riesce ad utilizzare con relativa facilità, in un modo a dir poco passivo armi veramente pesanti, proprio come la sua adorata Meretrice di Visceri come se fossero dei piccoli ed esili rametti di legno.


Edited by Amesoeurs - 16/1/2013, 15:41
 
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CAT_IMG Posted on 24/1/2013, 17:11

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« Ecco il punto della situazione. »

La voce chiara di Raymond si espanse per tutta la tenda, la stessa in cui due giorni prima il nobile aveva fatto un resoconto della missione a Nëshnäk e Veronica. Dentro quel perimetro, oltre che il Lancaster e la sopracitata donna, vi erano anche altre due persone di sesso femminile che con tutta probabilità non appartenevano alla Tribù dei Pelleverde. La prima alquanto tenebrosa, la seconda avvolta da un manto di mistero. Volti non propriamente sconosciuti, in quanto le aveva viste di rado aggirarsi fra il popolo orchesco, che le aveva trattate con lo stesso garbo riservato anche a lui, proprio alla Montagna, quell'essere che teneva una sorta di legame empatico con loro.
Il guerriero stava seduto su uno di quei tanti sacchi di farina, comodamente appoggiato sopra quel tessuto, con gli occhi diretti verso il leader del gruppo, quell'uomo dal volto macchiato di verde. Macchia che alla sola vista faceva riflettere Nëshnäk riguardo le possibilità di una persona di mutare se stessa in virtù del proprio Destino. C'era una dannata puzza in quella maledettissima tenda fatta di pelle di capra, il cui odore si mischiava con quello delle varie polveri che disgustosamente venivano respirate da quel gruppetto, non così tanto coeso. Egli stava incominciando a spiegare nei minimi dettagli una missione la cui riuscita li avrebbe fatti apparire come eroi tra le fila del Clan Toryu, eppure, ironia della sorte, essi non si trovavano dentro le mura di un castello, nel palazzo protetto da numerose guardie di un generale, ma in un semplice ed umile magazzino pieno di scorte. Alcune andate a male, fra l'altro.
Iniziò parlando delle malefatte di Razelan Vaash, un verme che oltre ad aver provato a far fuori con chissà quali mezzi alcuni esponenti politici dei quattro regni, s'era anche permesso di far spedire nel regno dei morti circa una trentina - o poco più - di innocenti sudditi del Sovrano. Ma non solo, infatti senza freno inibitore alcuno, aveva sguinzagliato i suoi lacchè in giro per il meridione con l'ordine di ammazzare i sopravvissuti, arrivando pure al punto di giungere nel rifugio dei Pelleverde nel quale si trovavano esattamente ora. Quella sottospecie di uomo non pareva essere intenzionato a guardare in faccia a niente e a nessuno, pur di perseguire i suoi scopi. Un qualcosa di lodevole, se il suo obbiettivo non cozzasse con gl'interessi di quelle persone ivi riunite. Con tutta probabilità fra l'arrivo della marea e questo sorcio che tentava di raggiungere i propri obbiettivi senza paura di spargere litri di sangue, tutta quella tribù era stata privata della gran parte delle loro energie. E poteva ben vederlo - e quindi a sua volta capirlo - dall'atteggiamento estremamente teso di quegli orchi, ma anche della persona che li guidava. Era palesemente malconcio il tipo, provato nel corpo e nello spirito.
Però, ciò che colpì nel vivo Nëshnäk fu la parte successiva del discorso di Raymond, in cui questo asseriva che tale Razelan era stato in grado addirittura di comprare una compagnia mercenaria, chiamata Rooi Valke, i Falchi Rossi, scagliandola contro il loro stesso precedente capo, per poi spingerli a far fuori ogni essere senziente che si trovava nel Deserto dei See. Tutto questo gli pareva assurdo, insensato e soprattutto sinistro. La Montagna stessa aveva combattuto sotto parecchi vessilli - stringendo tra le proprie dita aste di legno nel cui apice vi erano stemmi ogni settimana differenti - ed in molte compagnie, soprattutto quelle più unite, il capo del gruppo non era semplicemente un "leader", un abile schermidore e simili, ma anche qualcosa di più. Un qualcosa che andava semplicemente oltre. Per lui un gesto simile andava punito solamente con la morte, e nemmeno questa infondo sarebbe bastata per un crimine nefando tanto quanto il parricidio.

Il disprezzo per quel traditore cresceva, nemmeno tutta la sua carne ingigantita al massimo sarebbe bastata per contenerla, eppure si sforzò di rimanere in silenzio, composto nel suo trono fatto di sacchi della farina. Si poteva leggere la sua tensione, un poco esternata dalle mani che si stringevano nelle ginocchia.

Credeva che quello fosse il punto principale, il fulcro di tutta quella situazione turpe. Invece non era così.

« Le ragioni dietro a questi gesti ci sono ignote. »

Assurdo, si ripeteva nella mente, convincendosi di non aver capito bene le parole del Lancaster o di averle travisate del tutto. Non era possibile che una persona potesse agire così, senza far trapelare uno schema, un qualcosa che desse un senso a tutto. Ringhiò sommessamente, incrociando le braccia davanti a se. Più sapeva della faccenda e più gli salivano i nervi a fior di pelle. Forse, stava proseguendo il Soldaat, voleva conquistare quella zona sabbiosa o estirpare da questa ogni forma di vita. Ma non quadrava. Perché proprio quel luogo? Cosa aveva di particolare, di unico? Del resto era uno "Scatolone pieno di sabbia", citando un individuo che non c'entrava nulla con la situazione. Chissà, magari in quel lembo di terra era tenuto nascosto un qualcosa che non doveva essere scoperto da nessuno, nemmeno dai suoi superiori. No, dietro quel velo illusorio di Maya doveva esserci qualcos'altro di ancor più grande e terribile. In cuor suo era convinto che molte carte non erano state ancora scoperte.
Dovevano fermarlo.

« Purtroppo, le nostre forze non sono abbastanza grandi da permetterci un attacco diretto. »

Proseguì il Soldaat, l'uomo a cui aveva giurato da poco fedeltà. Questo complicava non poco l'intreccio, ma non era nulla in confronto al resto; per prima cosa il posto in cui risiedeva Razelan, la fortezza chiamata i "Sospiri di Ferro" disponeva di grandi mura, capaci di resistere a molti giorni d'assedio, in più all'interno di queste vi si trovavano numerosi Shadar-Kai. Il vero problema però era un'altro: ovvero le vie di fuga secondarie, da cui il nobile sarebbe potuto scappare facilmente durante un possibile scontro in cui le sue guardie li tenevano occupati.
Fantastico.
Dalle parole di Raymond quel forte appariva inespugnabile.
Inutile attaccarlo in forze, inutile tentare un'offensiva disperata e suicida degna di diversi guerrieri dell'Oriente con cui aveva, ahimè, avuto a che fare.
C'era bisogno d'altro.
Infiltrarsi.

Si morse per un attimo il labbro superiore, guardando in alto. Non ha mai partecipato a questi tipi di missione per motivi facilmente intuibili, insomma, bastava guardarlo per capirlo. Troppo grande e troppo sgraziato per certe imprese, ma come ogni cosa c'era sempre una prima volta nella vita. Non si sarebbe tirato indietro, non ora che aveva attraversato mezzo deserto per servire quell'individuo che fino ad una manciata di giorni fa era un totale sconosciuto. Inoltre era sicuro che quello, in base alle informazioni ottenute, era il metodo migliore per occuparsi di Lord Vaash.
Come infatti spiegò il Lancaster, questo piccolo signorino della guerra stava tentando di ingrandire le proprie fila, rendendo gli Shadar-Kai un gruppo ancor più temibile di quanto già non lo fosse. Opportunità migliore di questa non poteva capitare. Potevano tranquillamente chiedere di arruolarsi, in modo tale da avvicinarsi con più facilità all'obbiettivo. Infatti, senza perdere tempo, colui che stava spiegando la situazione sollevò un sacco e lo svuotò delicatamente lì in mezzo al gruppetto, mostrando il contenuto: quattro ampolle con dentro del liquido verde.

« Gli sciamani si sono prestati volentieri a preparare queste quattro potenti pozioni di camuffamento, che voglio utilizziate per nascondervi fra le fila degli uomini di Razelan. Lì dovrete scoprire il più possibile sui suoi piani e, eventualmente, intervenire per fermarlo.»

Rimase in silenzio. Stupidi trucchetti.

« Io mi occupo delle guardie.»

Affermò la donna dai capelli corvini le cui ombre parevano carezzare dolcemente la sua pelle, scivolando delicatamente nel profilo della lieve muscolatura marcata della stessa. Una figura singolare.
Si volse verso di lei senza proferire parola alcuna, squadrandola dall'alto verso il basso con uno sguardo inquisitorio, il tutto seguito da un cenno affermativo del capo.
No. Ella non era manchevole.


___ _____ ________ _____ ___
i Sospiri di Ferro



Dopo qualche dì, un gruppo di Pelleverde li scortò poco lontano dalla magione, proprio nei margini del Deserto dei See.
Giunsero all'entrata di quella magione, sia lui che Veronica portavano armature differenti, più adatte al deserto. Insieme a loro c'era anche Zaide, che a differenza sua e dell'altra donna aveva ingerito quel filtro, cambiando quindi i suoi connotati in quelli di uno shaman. Al posto dei suoi capelli ramati, della pelle pallida, degli occhi verdi ora c'erano i lineamenti di un orco. Sembrava una violenza al fascino della stessa. D'altronde però il dovere era dovere.
La Nera Regina invece era partita prima di loro, con tutta probabilità già si trovava a discutere con qualche autorità della fortezza.
Qualcuno forse non avrebbe apprezzato il suo gesto, sicuramente non Nëshnäk, il tutto per un semplice motivo: aveva notato il suo sguardo mentre asseriva ciò di cui si sarebbe occupata. Un'occhiata che apparteneva a pochissime persone. Aveva la fiducia dell'orco, per quanto questa potesse valere.
La discussione con il Lancaster - dopo che questi gli aveva mostrato le pozioni - continuò a lungo, ed il fulcro di questa come si poteva facilmente immaginare era Razelan Vaash. La Montagna se lo vedeva come un viscido serpente, di quelli che strisciavano nella terra per attaccare quando la vittima meno se lo aspettava e.. Pensava bene. Quel nobile, sempre se nobile a questo punto si poteva ancor definire, apparteneva ad una famiglia che nemmeno lo considerava, in quanto era imparentato con questa molto alla lontana. Per di più la sua psiche appariva contorta ed al contempo deviata; il ragazzo infatti dava l'impressione di nutrire un odio profondo verso tutto e tutti, tanto che s'era recluso nella propria misantropia, non mettendo più piede fuori la magione. Ma non solo, infatti ad un numero esiguo di pochi era concesso di contattarlo, per il resto gli ordini venivano impartiti con l'utilizzo di intermediari vari. Una figura dispotica, maledetta, pronta a collassare su se stessa da un momento all'altro. Eppure, quel ratto pieno di segreti e manie stava dando un'infinità di problemi. Troppi.
Andava abbattuto come un animale da fattori che a causa della sua vecchiaia non poteva più lavorare nei campi.

Diede uno sguardo alla Meretrice di Anime, l'unico suo effetto personale a disposizione insieme al cannoncino, la quale era ben tenuta dietro le sue spalle.
Quasi gli dispiaceva far baciare alla propria lama il sangue di quel verme, ma non si sarebbe tirato indietro in caso la possibilità si fosse presentata.
I nemici del Sovrano andavano eliminati, costi quel che costi.

« Ppuh.»

Sputò a terra da sopra il cavallo nero quando la coppia di Shadar-Kai adibita a far la guardia ai cancelli del maniero giunse verso di loro. Non promettevano nulla di buono quegli essere lì, dalla pelle pallida come il latte, che senza pensarci due volte sguainarono le proprie armi, puntandogliele contro. La prima reazione dell'orco fu quella d'afferrare con la mancina lo spadone, diminuire la distanza fra loro e colpirne uno a caso fra i due con un manrovescio, decretando dunque la sua morte. Invece non mosse nemmeno un muscolo. Stranamente dentro di lui prevalse la Ragione piuttosto che l'Istinto, quella parte di se che gli aveva permesso di superare innumerevoli avventure. A quanto pare aveva fatto la scelta giusta. Non poteva mandare a monte il piano, doveva avere il sangue freddo anche sotto quel sole cocente, che per qualche motivo a lui sconosciuto non era stato in grado di rendere scura come un mattone la cute di quelle guardie.
Quindi, con sommo rammarico, alzò le braccia come per mostrare che non era un nemico, facendo perno con un piede sulla staffa della sella, scendendo quindi dal suo destriero dal manto color pece. C'era bisogno di persuadere quegli individui, dunque evitò di parlare, preferendo il silenzio - non aveva una lingua svelta, in più, anche a causa del suo spiccato senso dell'onore, non aveva mai mentito in vita sua, questa era la prima volta. Meglio non improvvisare. Non ora.

« Ma guardatevi, basta solo la vista di qualche pelleverde a mandarvi in panico. »
volse di scatto la testa, guardandola. Le appariva sicura di se, forse fin troppo.
« Cosa pensate che siamo qui a fare, miei brillanti colleghi? Un impavido attacco suicida alla fortezza del grande Lord Vaash? In tre? »
ora capiva dove stesse andando a parare, eppure quell'atteggiamento poteva non essere visto di buon occhio.
« Se pensate davvero che le cose stiano così, è evidente che vi serve un certo aiuto per vincere questa guerra. E chi meglio di uno di loro può darvi un simile aiuto? »

Concluse, indicando sia lui che lo Shaman. Chinò il capo, togliendosi il cappuccio logoro. Certo, la spiegazione che aveva dato non faceva una piega, eppure sentiva che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Era palese, chiaro. Veronica involontariamente li aveva irritati, e forse aveva compromesso quell'infiltrazione. Non restava altro che sperare nell'abilità di oratrice di Zaide.

« Non siamo folli, né disperati in cerca di rogne. Mi chiamo Ekver-Wysnad'lig, ed ero il primo sciamano della tribù pelleverde dove ultimamente ha trovato asilo gente di ogni risma e grado. Non è più il mio luogo: non sono disposto ad assoggettarmi a simili...individui. I miei poteri e la mia esperienza sono al servizio dio Lord Vaash, se me lo concede. Per dimostrarlo, gli ho portato una prova. »
quindi estrasse un oggetto che ad una prima occhiata gli pareva essere un pezzo di pietra, il quale magari aveva qualche sorta di potere, oppure un certo valore spirituale e morale che attestasse qualcosa che a lui, ora come ora, sfuggiva del tutto.
« Costoro sono miei fidati apprendisti »

Un gran bell'azzardo, che purtroppo non diede i frutti sperati. Boriosa e piena di se, la guardia affermò un qualcosa riguardo gli apprendisti o il rispetto, che Nëshnäk schiettamente non ascoltò. Gli era bastato guardarlo un attimo in faccia per capire le sue intenzioni, quindi prima ancora che chiamasse altri suoi colleghi incominciò a camminare in avanti con calma, evitando di fare movimenti bruschi che avrebbero potuto indispettirle ancor di più. Alle successive parole dello sciamano si fermò, facendolo passare, per poi mettersi subito dietro di lui. La recita era andata a rotoli, o meglio, in parte. In quanto gli Shadar-Kai non dubitavano ancora della falsa identità di Zaide, dunque, per quanto quest'atto fosse inutile, preferì mostrarsi servile con lui senza far cadere la recita, facendo trasparire anche con un lieve inchino il suo ostentato dispiacere.

Vennero scortati all'interno di una grande tenda dagli interni pieni di ornamenti metallici. A quanto pareva, come era stato in grado d'intuire guardando i vari orecchini e le forge da cui provenivano banchi di fumo denso e scuro, quella stirpe di uomini sembrava essere molto abile nella lavorazione del ferro.
All'interno di quell'area non vi era nessuno, eccezion fatta per un vecchio dall'aria malconcia, un uomo abbastanza anonimo oltretutto. Vennero obbligati a mettersi seduti in un angolo di quel posticino, sempre controllati da un manipolo di mercenari. Una situazione a dir poco odiosa, eppure c'era ancora speranza. Il tempo scorreva, eppure non sembrava accadere nulla. Nessuno si faceva vivo, ma poi quella piccola orchestra di suoni frustranti venne interrotta con l'entrata dell'Eidolon. Ringhiò come un animale quando lo vide. Ai suoi occhi appariva come un demone sputato dall'inferno; era alto per gli standard degli esseri umani, non particolarmente statuario, ma di certo con il suo aspetto catturava molta attenzione. Anch'egli aveva la pelle pallidissima, sembrava quasi avesse contratto la malaria, eppure la cute non appariva labile, bensì dura come la pietra. Sembrava quasi una sorta d'armatura naturale, che gli forniva una difesa da qualsiasi attacco di moderata potenza. Inoltre il suo braccio indecentemente troppo grande rispetto al resto del corpo era una vera e propria arma, in quanto dalla carne di questo fuoriuscivano degli spuntoni affilati, come delle protuberanze ossee, con le quali chissà quante persone aveva fatto scuoiato vive, in più l'estremità dell'arto era munito di quello che gli pareva una sorta di grezzo uncino. Tuttavia c'era un'altra ragione per il quale quell'essere appariva disturbante alla vista: la completa inespressività. Era del tutto vuoto. Come se dentro di lui non battesse alcun cuore. Era anomalo, nel vero senso della parola.
In mano teneva un globo, quindi camminando con una calma inquietante lo passò di fronte ai volti di ognuno. Quando questo venne posto di fronte al viso del finto Shaman e dell'anziano sconosciuto - "Sconosciuto" - incominciò a brillare debolmente, assumendo una tonalità rossastra.
Deglutì. Le cose si stavano mettendo male.

« Sentitevi liberi di visitare il campo. Lord Vaash vi riceverà tra poco. »

Esatto. Si stavano palesemente mettendo male.
Razelan non si sarebbe presentato affatto, in quanto questo sarebbe andato contro il profilo fornito da Raymond. Certo, durante questo periodo di reclusione poteva essere cambiato, eppure certe cose non accadevano da un giorno all'altro. No, qualcosa non andava, non gli avevano nemmeno confiscato le armi. Si alzò, avvicinandosi all'Eidolon, fissandolo dall'alto verso il basso per qualche interminabile secondo.

« Bene. »

Non una parola di più. Così, proprio come si era avvicinato a quella marionetta, ora si allontanava da lui e dal resto delle persone dentro quella tenda. Avrebbe girato per qualche minuto all'interno del fortino, in modo tale di avere un'idea più precisa del luogo e del numero di Shadar-Kai che facevano la guardia, per poi ritornare nel luogo dell'incontro dopo qualche minuto d'ispezione, sempre che non avesse trovato qualcosa d'apparentemente importante.



Edited by Amesoeurs - 25/1/2013, 14:46
 
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CAT_IMG Posted on 2/2/2013, 09:29

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Quando rientrò nella tenda la situazione non era cambiata. I due con cui si era presentato alle porte dei Sospiri di Ferro stavano ancora lì, seduti, circondati da un misero gruppetto di guardie che con tutta probabilità potevano essere sbaragliati dai suddetti senza metterci neanche troppo impegno. Ma invece dovevano mantenere la calma, evitare di dare di matto, in quanto questo avrebbe potuto compromettere tutta la missione, facendo scappare Razelan. Si portò una mano sulla spalla, massaggiandosela con calma, dirigendosi verso loro due, dando una fugace occhiata al vecchio.. Quegli occhi, che fosse lei? Non poteva asserirlo con certezza. Poggiò le ginocchia a terra, tentando di trovare una posizione a lui comoda, sedendosi dietro Zaide e Veronica. Solo ora notò il gesto autolesionista di quest'ultima - un metodo per placare la tensione ed il nervosismo, o perlomeno tale gli appariva.
Sospirò, chiudendo gli occhi e chinando il capo verso il basso. Non c'era nulla da fare, se non attendere. Nulla di nuovo stava accadendo.. Nulla. Fino ad ora. Senza preavviso alcuno percepì un grande trambusto all'infuori di quella tenda decorata con così tanto ferro, che secondo dopo secondo cresceva sempre di più. Per un istante gli parve di essere al centro di una festa popolare. Grida di gioia, d'ovazione, unito ai suoni metallici prodotti da chissà quale arnese costruito dagli Shadar-Kai, quel manipolo di uomini unico nel suo genere - e non nel senso positivo.

« Un nuovo figlio sta per nascere! »

Figlio? Ripeté il lemma nella mente guardandosi intorno, come per avere la conferma di non essere stato l'unico ad aver sentito quella frase nel bel mezzo di tutto il caos di urli e schiamazzi provenienti da là fuori. Fortunatamente non lo era. Il caldo del deserto non gli aveva ancora fritto del tutto il cervello. Sospirò stranito, un poco a disagio per tutto quel turbinio d'emozioni euforiche che vorticavano velocemente intorno a lui, in preda ad una sorta di pazzia isterica, la quale in qualche modo intaccò pure l'interesse dell'Eidolon, il cui sguardo venne volto al di fuori del perimetro ove si trovava. Anche adesso sembrava vuoto, privo di umanità, ma non ci badò molto, l'orco infatti rivolse la sua attenzione verso i soldati messi a fargli la guardia; un moto d'impazienza li travolse tutti quanti, sembravano non vedere l'ora di uscire per assistere a quella cosiddetta rinascita.
Sentiva altre parole, ma non colse il senso di queste. Non gliene importava più di tanto delle farneticazioni di chissà chi, eccezion fatta per quando nominò un certo Vero Re. Nëshnäk assunse un'espressione arcigna, indisposta, come se quella manciata di lettere dell'alfabeto l'avessero punto in una zona in cui era molto sensibile. Si alzò di scatto, fra il furente e l'innervosito, troneggiando su tutti i presenti nel tendaggio, volgendo lo sguardo nel punto in cui sentiva quella voce piena d'enfasi. Non si rese nemmeno conto che gli Shadar-Kai si allontanarono da loro, liberandoli da quella sorta di prigionia che avrebbe dovuto durare fino l'arrivo di Razelan. Fece per grugnire qualcosa, chiedendo spiegazioni, ma preferì tacere, sfruttando più le orecchie che la lingua. Di certo non era la persona del party addetta al fare domande o al convincere - anche se su quest'ultima aveva qualche dubbio.

« Quello che sta prendendo piede qui fuori è un rituale importante. Sarebbe un peccato perderselo unicamente per ostinazione. »
di nuovo quella voce priva di capacità espressiva. Non riusciva a farci l'abitudine, probabilmente non ci sarebbe riuscito ancora a lungo.
« Vi invito ad uscire dalla tenda e ad assistervi. »

Mosse qualche passo al centro del riparo, passando le dita sull'acciaio dello spadone, carezzando il filo per nulla intaccato; era un gesto che ripeteva più e più volte al giorno, soprattutto nei casi in cui la tensione saliva sempre di più. Quel tic era una sorta di valvola di sfogo, che lo arpionava alla realtà, mantenendolo lucido.

« Potrebbe piacervi e potreste voler rinascere anche voi. Sarebbe un gesto molto apprezzabile per dimostrarci la vostra fede. »

Provò a rimanere impassibile quando vide tutta quella gente che si accalcava verso quel tale, Brenuin, ma non ci riuscì. Quel rituale, come lo definiva l'Eidolon, aveva un che di selvaggio, primitivo e famelico che l'attirava dal profondo del suo inconscio. In un primo momento lo trovò anormale, ma subito dopo quel senso di repulsione svanì nel nulla. Non per questo però abbassò la guardia - certo, gli era stato permesso di girare tranquillamente nel fortino, ma non per questo si sentiva a suo agio dentro quelle mura bianche come il marmo più puro. Incrociò le braccia, ponderando sul da farsi, dando una fugace occhiata allo Shaman che senza perdere tempo in chiacchiere si diresse nel luogo in cui si stava svolgendo il tutto. D'altro canto invece sia il vecchio che Veronica incominciarono a parlare con quell'uomo, sempre se così si poteva ancor definire. Meglio ascoltare, pensò. Infatti, evitando di fare gesti bruschi che avrebbero potuto catturare l'attenzione molto più delle sue dimensioni, si mise a debita distanza da loro, quella necessaria per seguire il filo del discorso. L'anziano barbuto si mostrò vistosamente preoccupato, facendo continue pressioni all'interlocutore, in modo tale da poter mettere a conoscenza il Lord Vaash del male che incombeva su di lui... O perlomeno così proferiva di fare. Tali affermazioni puzzavano come un cadavere in decomposizione, soprattutto a causa del globo che un attimo prima si era illuminato davanti al suo volto.
Deglutì rumorosamente quando l'Eidolon rispose con il suo solito modo di fare, completamente sgombro di emozioni, chiamando il Re che anche la Montagna serviva come falso. Tirò all'indietro le labbra, mostrando per qualche istante i denti ingialliti ma forti, capaci di far del male come le zanne di un mastino. Ma sì calmò. Strofinò ancora la mancina sull'acciaio della Meretrice di Visceri, convulsamente, ferendosi i polpastrelli del dito medio e dell'indice. La situazione non gli piaceva, era convinto d'affogare sempre, sempre di più in un abisso senza fondo, ma era sicuro che quello era solo l'inizio. Sospirò, ascoltando il resto della discussione, cogliendo più informazioni possibili da quelle bocche; a quanto pareva il Vero Re, altresì chiamato Padre di Ferro, gli era stato fatto conoscere dal suddetto nobile, il quale poi faceva sottoporre la gente al rituale della rinascita che si stava compiendo anche ora, in modo tale che gli iniziati potessero sentire in qualche modo la sua presenza. Non capiva, come del semplice acciaio poteva dar tutta quella febbrile sicurezza? Infondo erano solo dei monili.. Solo?
Chissà. Intanto continuò a guardare la scena, riuscendo a cogliere qualche momento saliente anche grazie all'altezza esagerata, notando con una facilità allarmante il terrore nella carne di quel ragazzo - era alto, magro, dalla pelle singolarmente pallida.. Forse un soldato, ma da come si stava comportando in questo momento doveva essere uno che ne aveva viste veramente poche di battaglie. Certo, il tavolo pieno di strumenti da medico posti davanti a lui facevano un bell'effetto, nessuno poteva metterlo in dubbio, ma nulla di paragonabile a tutto ciò che si vedeva durante lo scontro fra due eserciti, in cui la vita e la morte spesso sono dettati dal caso ed in minima parte dalle capacità del guerriero in questione.

« Vi invito a provare, qualora foste interessati. »

Quest'ultima affermazione tuonò nella testa di Nëshnäk, con una violenza tale che si sentì rabbrividire. Diede un'occhiata alla scatola appena aperta sotto il naso di Veronica e del vecchio alquanto agitato. Voleva spingersi oltre, voleva scoprire cosa si sentiva nel portare addosso quel metallo particolare - sì, proprio lui che aveva fatto della sua armatura una seconda pelle - inoltre entrare nelle fila degli Shadar-Kai gli avrebbe permesso di potersi avvicinare a Razelan, o perlomeno a qualcuno affiliato a lui. La mano libera scivolò sul volto, le dita invece incominciarono a premere nelle tempie, iniziando a massaggiarle con calma.
Cosa fare, cosa diavolo fare?
Digrignò ancora una volta i denti, facendoli stridere fra loro, poi si decise.
Osare l'inosabile.

Camminò con calma, portandosi ancor più vicino alle spalle di quei due, infine alzò il braccio destro verso il punto in cui si stava volgendo il rituale. Il dito insanguinato era puntato su Brenuin. Già da ora le intenzione di Nëshnäk erano chiarissime, ma per lui non bastava. Gonfiò il petto, fiero, esclamando il suo desiderio a gran voce.

« Io voglio osare. »

Affermò quindi la Montagna, mentre un goccio di sangue cadde a terra come per mancare un punto di non ritorno. Lo sguardo piantato sull'Eidolon era traboccante di decisione. Aveva giurato di servire Raymond, quindi l'avrebbe fatto senza riserva alcuna, anche se il prezzo da pagare era quello di macchiarsi dell'infamia di appartenere - almeno apparentemente - alle truppe di quel ratto misantropo.

« Perfetto allora; »
affermò accennando ad un.. Sorriso? Impossibile.
« Lascia che ti accompagni. »

___ _____ ________ _____ ___
il Rituale, la sottile linea color Ruggine.


Si allontanarono dal resto del gruppo, proseguendo verso la zona del cortile più affollata. C'era parecchia gente in quel punto, la quale venne attraversata dalla strana coppia, finché alla fine giunsero nel bel mezzo di questa, di fronte ad un altro uomo. Quasi sicuramente uno Shadar-Kai come testimoniavano gli accessori che aveva piantati nel volto, stranamente in minor numero rispetto a quelle delle persone lì presenti. La curiosità che lo spingeva a chiedere di questo motivo era tanta, ma l'autocontrollo della Montagna prevaleva, così non chiese nulla. Si guardò intorno a se, ostentando sicurezza anche se era nel bel mezzo dell'attenzione, che vacillò per un solo istante quando vide l'Eidolon farfugliare qualcosa nell'orecchio di quella specie di profeta.

« È una gioia immensa per me che nuovi figli si presentino così spontaneamente al casolare del Padre di Ferro! »
esclamò allargando le braccia, avvicinandosi verso di lui. Provò ad abbracciarlo per qualche secondo, per poi staccarsi. Trovò quel comportamento viscido, così tanto che fece nascere in lui un senso d'imbarazzo.
« E non dubito che farai grandi cose sotto la sua guida! Sembri aver visto molte battaglie prima di oggi, ma non preoccuparti: hai trovato finalmente il luogo che stavi tanto disperatamente cercando! »

La folla esultò contenta, con grida e risate di ovazione. Nëshnäk rimase immobile, completamente apatico in attesa dell'inizio del rituale. Non gli interessava di quel casino in suo onore, non gli interessava del dolore, non gli interessava del rischio. Voleva solamente che il tutto incominciasse il prima possibile. Quelle pause logoravano solo il suo spirito, nient'altro.

« Non desidero di meglio. »
sibilò con uno strano tono di voce, incominciando a togliersi quell'armatura leggera che gli ricopriva il busto e le braccia. La pelle pallida ed opaca sembrò brillare per un attimo quando i raggi caldi del sole la toccarono, straziandola a causa della temperatura elevata. Chiunque ora poteva vedere la lunga fila di cicatrici che coprivano il suo corpo, alcune piccole, altre impressionanti, tutte medaglie che testimoniavano battaglie passate, quando non era sempre al servizio del vincitore. Era un fisico muscoloso, resistente, che aveva sofferto moltissimo, più del dovuto. Sembrava quasi che il dolore fosse una costante di Nëshnäk.
« Quando volete. »

Diede il permesso di procedere con l'operazione, buttando al contempo l'equipaggiamento per terra, nella sabbia bollente. Si mise a sedere nello sgabello di ferro, quello in cui un attimo prima ci si era seduto Brenuin, poi alzò il mento, senza far trapelare alcun segno di titubazione. Duro come una roccia sarebbe rimasto lì tutto il tempo necessario. Ed intanto altri Shadar-Kai si avvicinarono, attirati come delle api dal miele, rendendo quella situazione a dir poco soffocante. Ovunque gli occhi di Nëshnäk si posavano non vedeva altro che quegli individui ricoperti con quei monili, accessori, piercing. Questo Vero Re doveva avergli fatto un lavaggio del cervello o qualcosa di simile per obbligarli a sottoporsi ad uno strazio simile, e lui invece lo stava facendo solo per servire il proprio signore. Sorrise amaro, controllandoli uno ad uno. Quei visi pallidi gli sembravano tutti uguali, tutti insetti.. Non sarebbe mai diventato come uno di loro, mai! Il suo stesso corpo, il suo stesso spirito si sarebbero ribellati a tutto ciò. Per questo lui poteva permettersi di osare così tanto, perché era convinto di essere nella posizione di farlo.

« Un nuovo figlio sta per incontrare il Padre di Ferro, Shadar-Kai! »
ripeté ancora una volta, tutto eccitato. Sembrava abituato a parlare alla folla, a presentare il rito al quale si stava sottoponendo. Chissà a quante persone era toccata questa sorte, chissà che fine avevano fatto..
« Esultate per lui e fate sì che il clamore delle vostre voci soffochi il dolore del rituale! Cullatelo con la vostra gioia! »

Chinò il capo, dandosi un leggero schiaffetto sulla guancia, come per ritornare alla realtà. Non doveva domandarsi questo genere di cose, nemmeno fare pensieri simili. Piuttosto era necessario che lui stesse calmo, impassibile, anche se la situazione andava man mano a scaldarsi. Le vite di quelle delle persone con cui faceva gruppo erano nelle sue mani e viceversa. Non doveva evitare di sbagliare solo per se, ma anche per gli altri. Tutto ciò pesava moltissimo, ma i muscoli dell'orco erano ben allenati per questi tipi di sforzi.
Uno Shadar-Kai si avvicinò verso di lui, impugnando gli strumenti per l'operazione, l'orco già chiuse gli occhi.. Ma non era per l'intervento che doveva prepararsi. Uno strano senso di inquietudine artificiale si manifestò dentro di lui, che mano a mano cresceva sempre di più, diventando un qualcosa di insostenibile. Incominciò a respirare affannosamente, piegandosi un pochino in avanti, sgranando gli occhi. Quello a cui si stava sottoponendo era un vero e proprio abominio, la distruzione del proprio Io. Per un istante la mano che carezzava la tempia incominciò a tremare, il tutto seguito da un sudore freddo. Deglutì ancora, afferrandosi il polso con le dita della mancina.
No.
Non poteva tirarsi indietro.
Il senso di paura mano a mano cresceva sempre di più, ogni passo dell'uomo che avrebbe eseguito l'operazione sembrava come il suono di una campana d'allarme dentro la sua testa. Ma la testardaggine dell'orco era grande. Spinse i piedi a terra, affondandoli nella sabbia, come per obbligarsi a tenersi fisso in quel punto.

L'uomo con un cenno di mano gli indicò i numerosi arnesi che poteva farsi impiantare; doveva stare attento. Alcuni sarebbero stati impossibili da togliere con facilità, come quei bracciali di ferro, rispetto a degli orecchini. Doveva osare sì, ma fino ad un certo punto, le sue azioni non dovevano dar spazio alla stupidità, come gli sembrava suggerire quella sorta di paura che era giunta da lui così inaspettatamente. Senza perdere tempo, sempre con quello strano timore che lo divorava da dentro, indicò rapidamente degli orecchini con l'indice sporco di sangue, decorazioni - "decorazioni" - facili da togliere nel caso fosse necessario. La diffidenza si stava dimostrando una buona amica.
L'individuo non protestò, accettando umilmente la scelta, incominciando a procedere con il rituale. Inizialmente tirò verso di lui la pelle del sopracciglio, infine, con il grosso e spesso ago che teneva stretto a se, lo bucò nella parte interna. Chiuse l'occhio sinistro mentre il suo stesso sangue gli colava giù per il viso, macchiando la guancia, la bocca, il mento ed anche un po' del suo petto. Prima ancora che se ne accorgesse lo Shadar-Kai fece passare l'anello di ferro nel foro appena creato, stringendolo subito. Era ghiacciato, molto, in più bruciava moltissimo a causa del contatto con una zona lesa. Gli avrebbe fatto male a lungo, pensò, invece a quanto pare non era così. Già quando gli bucarono il labbro inferiore il dolore stava scemando, piuttosto sembrava quasi regalargli una sorta di sollievo. Quel metallo lo tranquillizzava, neanche fosse stata una droga, ma quel timore reverenziale non pareva andarsene via. Stava lì a pulsare con forza, in contrapposizione al senso di pace che lo pervadeva tutto. Sussultò a causa di quel gioco di forze interno, come se quel contrasto gli desse una sorta di piacere malato. Chiuse gli occhi, godendosi quella battaglia, tutto eccitato.
Si sentiva... Bene. E non solo lui.
Gli pareva quasi d'avvertire un'altra presenza, quello del Padre di Ferro, il quale l'osservava da chissà dove, forse dallo stesso materiale che ora si trovava nella propria carne, soddisfatto di lui, della sua scelta. Sorrise, sempre con le palpebre calate, mentre la mano dell'uomo toccava il pettorale sinistro, come per saggiare i muscoli, in modo da trovare il punto preciso in cui far trapassare il grosso ago, appena pulito malamente con un panno candido. Il capezzolo era un punto molto sensibile, dunque lo strazio di una ferita ivi diretta risultava assai ampliato, ma non c'era problema alcuno. Avrebbe sopportato provando piacere nel farlo. Poteva tutto ora, sì. Perché.. Perché aveva la benedizione del Vero Re. Nemmeno si sarebbe accorto dell'ulteriore piercing se questo non gli avesse dato un ulteriore senso di estasi, quasi sensuale. Il ferro che prima era freddo come l'inverno adesso era caldo come una meretrice sotto le lenzuola. Stupendo.
Sorrise, alzandosi in piedi.
Voleva continuare con il rituale, magari facendosi penetrare la carne con del fildiferro, oppure poteva farsi impiantare quella coppia di bracciali...



Si alzò, aprendo finalmente gli occhi, osservando con quello sguardo color brace tutti i presenti che avevano concentrato la loro attenzione su di lui, nessuno escluso; dall'Eidolon, agli Shadar-Kai a Zaide.
Non era più lo stesso Nëshnäk - questo si leggeva nello specchio dell'anima.


Toccò nuovamente lo spadone, non provò la stessa pace.



Edited by Amesoeurs - 3/2/2013, 15:22
 
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CAT_IMG Posted on 7/2/2013, 10:21

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Himitsu Keisatsu no Jutsu

Nome: Gishinton
Descrizione:Come chiunque ben sa, l'Himitsu Keisatsu, quest'organo militare, è composto da persone capaci e ben addestrate, pronte a risolvere qualsiasi situazione. Questo perché hanno ottenuto un ottimo addestramento, il quale li ha spinti oltre il proprio limite. Per tale motivo ben pochi di questi agenti si fanno intimidire da chicchessia, piuttosto riescono con gran facilità ad istillare il terrore nell'animo altrui. Giorni passati ad affinare le proprie capacità in condizioni estreme insieme ad altri commilitoni non han solo permesso a queste truppe di sviluppare al meglio il proprio corpo, ma anche di conoscere la psicologia dell'uomo, scoprendo nolente o volente cosa più lo terrorizza. Sviluppando questo sapere i soldati della suddetta polizia segreta sono stati in grado di creare la suddetta tecnica e tutte le variabili di questa, la quale consiste semplicemente nell'istillare una paura folle, innaturale, nell'obbiettivo. Il modo in cui il milite infonde tale emozione nell'animo altrui varia da persona a persona, da situazione a situazione; spesso basta uno sguardo truce, oppure il semplice contatto freddo e forte in determinate parti del corpo, oppure lo strusciare il ferro di una spada o della canna di un'arma da fuoco sulla pelle della povera vittima. In termini OFF, la tecnica si basa sull'Intelligenza e può essere difesa solo con il medesimo parametro, causando un malus a chi viene colpito pari a (Differenza tra la Difesa e l'Attacco/2) alla Destrezza e alla Forza.
Lancio: 1 Turno
Bersagli: 1
Raggio d'Azione: Medio-Corto
Durata: 3 Turni
Malus: Infondere il terrore è un qualcosa di complesso che richiede molta concentrazione, per tale motivo il soldato durante lo stesso turno in cui utilizza la tecnica avrà un malus alla Destrezza e alla Percezione di 1. E' possibile rinunciare a questo malus allungando la durata del Lancio da 1 a 2 Turni, in cui la tecnica verrà castata il secondo Turno.
Indicazioni Aggiuntive: Nessuna
 
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